Dovevo portare le scarpette immacolate, quelle di marca buona, che fanno camminare bene i bimbi.
Odoravano sempre di bianchetto fresco. Lo ricordo quell'odore: vernice fresca e leggera trielina. Lo ricordo quell'odore. Lo ricordo bene.
Tutto il resto addosso era coordinamento, niente stampe ricami sberleffi non ridevo mai guai alle fotografie perché gliele rovinavo.
Tutte.
Appena capivo ero smorfia niente posa semmai un minuto corpo contratto.
Lì appaio spastico.
Sempre.
Scappavo solitario innamorato catatonico d'ogni elemosinante barbone pifferaio sciancato mutilato, li seguivo andavo dietro per chilometri nella città, sempre poi i carabinieri mettevano fine al viaggio riportavano alla reggia il piccolo principe: tutta una festa per il ritrovato non rapito.
Fino alla successiva ipnosi
Scendevo lo scalone terra battuta rossa che dai ricchi portava all'inferno nel vicolo del non si va mai lì, me lo facevo tutto ed era meraviglia incurante magia di fango fogna a cielo aperto, immergerci le bianchettate, empirico del lurido laggiù alla penultima baracca, prima della curva, verso la seconda discesa al male.
Un vecchio muto ogni mattina suonava un trombone
mi bloccavo lì davanti adorante la coulisse, ad ogni avvicinamento a me scopriva schiuma e bava di sputazza.
Non me ne andavo.
Non potevo
Venivano a prendermi i lacrimanti ed era di nuovo festa.
Per loro.
Smisero gli alleluia
dopo la mia entrata di corsa
dal macellaio
era enorme il quarto di bue
agganciato
fumava
al centro pulsava qualcosa
ritmico
come un cuore
dissi che era la Madonna
nella mia testa
lo dissi anche dopo a voce
ho visto la Madonna.
Lo dico ancora adesso.
Era la Madonna.
Lucio Galluzzi
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