sabato 22 settembre 2012

CANTO D'AMORE

Daniele veniva tutti giorni a studiare a casa mia.
Faceva chimica industriale ed era campione di pallavolo nella squadra della sua città.
Diceva che nel soggiorno trovava quella pace e calma che mai aveva sentito in altro luogo.
Io ero al primo anno di Liceo.
Lui preparava gli esami disteso sul divano, io maledivo Lucrezio sul Perelli al tavolo rotondo in palissandro.
C'era anche Paolo che il sabato mattina, ogni sabato mattina, passava a trovarmi.
Pure lui sentiva in soggiorno l'energia positiva.
Si addormentava senza accorgersene e si abbandonava tranquillo.
Più volte comunicava che lì, in quell'angolo, vicino ad una poltrona ci si sentiva come in un tempio sacro.
Daniele viveva in Emilia, però sistematicamente tornava nei suoi luoghi di origine, appena arrivava mi telefonava e 'fissava' le sue sedute di studio da me.
Mi raccontava molto di lui, forse anche troppo.
Ma era bello ascoltarlo.
In Emilia abitava di fronte ad una azienda alimentare che trasformava anche carni: era certo che con la sua laurea sarebbe finito a lavorare lì.
A volte si metteva alla finestra a guardare i carichi che arrivavano alla ditta.
Una volta vide un camion scoperto, pieno di frattaglie e altri resti animali, sopra al mucchio c'era il cadavere di un asinello, ormai verde bluastro per la putrefazione.
Non c'era alcun problema: usando nitriti e nitrati giusti, aromi artificiali e altra chimica, le carni sarebbero ritornate rosa, anche rosse, saporite poi messe in scatola con la gelatina.
Non la dimenticherò mai questa cosa dell'asinello.
Mi accompagnerà per tutta la vita.
Ogni tanto riemerge, la visione, d'improvviso.
Come successe quando vidi il Querelle de Brest di Fassbinder.
Nel preciso momento nel quale Jeanne Moreau cantava Wilde... "Each man kills the thing he loves", eccolo: l'asinello!
Chissà poi perché gli umani troppo umani si meravigliano così tanto di quel fenomeno naturale che chiamano "presagio".
Li ho mai capiti.
Continuo a non capirli.
Si stava così bene nel mio soggiorno, c'era quel senso di pace, introvabile altrove, un Dojo, un tempio, un tabernacolo, una giusta vibrazione per il cuore d'anima pulsante.
Si stava veramente bene.
Non fu un caso [le coincidenze non esistono, neppure i destini e le sorprese dell'esistenza] che arrivarono Unni, Visigoti, Attila vari, tutta la famiglia Borgia coi veleni, Vampiri fin troppo noti, buchi neri a succhiare quello che c'era in quel soggiorno e in me.
Gli assassini erranti d'amore cercano proprio posti così.
I cannibali stregoi vogliono prede precise.
Non mollano fino a quando non ti hanno dissanguato e tutto il tuo è passato in loro.
Non se ne vanno neppure quando sei in agonia: vogliono tutti gli organi interni.
Non fu un caso che quell'asinello e Jeanne Moreau erano mantica, precisa, netta.
Fu devastato il soggiorno.
Crollò tutto, pezzo dopo pezzo, ma nel tempo.
Ogni maceria me la porto addosso, sono i miei tatuaggi.
Diventai vacca al macello, con tutti i miei tagli di carne segnati col pennarello indelebile del beccaio.
Intorno ho gelatina succulenta.
Non so di che marca sono.
Sulla lattina non ci sarà un'etichetta di quelle costose, lo so con sicurezza.
Manco sono esposto in un supermercato normale.
Sottomarca al risparmio in un hard discount.
E siccome il Karma gira ed è matematico nella scienza del suo colpire, ci sarà un altro amore che mi comprerà, mi concerà per le feste, con pomodorini, cipollotti, olive taggiasche, cubetti di provolone e quella meravigliosa glassa di aceto balsamico.
Mi mangerà infine.
Povero maledetto l'amore degli umani troppo umani cannibali; divorano la carne in scatola e non  smettono di dirgli: "ma io ti ho amato, ti amo ancora" e dilaniano senza tregua.
E siccome il Karma gira ed è matematico nella scienza del suo colpire, gli stragisti del cuore non sono mai intelligenti, le vacche in scatola a volte s'incazzano anche:
ero botulino puro.
Mortale.
Manco una fottuta ruga gli ho tolto.

Lucio Galluzzi
C2012CCL