La bellezza, quella, ti colpisce alle gambe.
Netta azzera le tibie e cadi per terra, senza pietà.
E' una sequenza improvvisa di strobo a frequenza cardiaca, calata e appesa al chiasma.
Non se ne accorge di danni creati, passa e basta.
Neppure si ferma o rallenta un attimo, magari un fremito di blocchimagine da portarsi impressa in retina.
Come diceva il mio padre assoluto di lettere, e soprattutto virgole, è uno schiaffo che ti arriva violento.
Ti gira la faccia dall'altra parte.
Un manrovescio così forte da tombarti lo stomaco, altro che farfalle che ci girano dentro.
Il vuoto vero dell'osservate in religioso rapimento e le parole, le parole sperdono come campanelli per tinnito.
Chi ha detto che si è immagine dell'Immoto ha compiuto l'Originale imperdonabile.
Blasfemia.
Ridere forte.
Sganasciarsi di beffa.
Non ascortarlo mai più, mai più, mai.
Starsene lontani dai bestemmiatori ché Luce non possiedono.
Non danno il senso del sentiero.
Ti portano a perdere.
T'ammazzano di luoghi comunissimi, latrine di vissuti, assenza d'atto.
Significante zero.
Se hai mai visto un angelo, che mai può esserti a fianco, se lo hai anche solo percepito d'aura, se e basta; allora sai anche tu dell'accecamento assoluto, unico, raggio diretto, preciso, pupillare.
Balle le nuvole, illusioni di vapore e ghiacci, manco un po' di fumo a far l'arrosto finto.
E' salire il senso.
Andare veloci, un parsec, spararsi in alto.
Abbattere quella velocità fotonica e gli anni cosmici.
Infilarsi preciso tra gli strati dell'Universo che pare Aria.
Castone.
Lì diventare solitario, riflettere internamente, emergere dalla tavola.
Oltrepassarsi senza movimento.
Neppur lieve.
La bellezza non necessita passo.
Falciate!
Lucio Galluzzi
©2011CCL