Ho preso il mio quaderno. Quello di una volta. Il quaderno mai avuto, ma sempre presente sotto le ascelle dello scriba. Mi assentavo sovente dal mestiere. Non lei che senza dirmelo scriveva di me, di notte, sibilando. Che distratto! Sedeva alla stessa nostra tavola. Io che neppure avevo speso una virgola per descriverla. Era da sempre lì. Un culo troppo piccolo per essere gradito anche alla sedia, smisuratamente grande per un pantalone, anche per una gonna.
Lei li metteva tutti e due, ignara del livore procurato ai pochi peni tristi, rattrappiti, in quel corridoio dalle porte sempre chiuse.
Non ho mai capito quanti anni avesse più di me e comunque più di tutti. Era vecchia come il colore dei suoi capelli, tinta rancio unito a struttto ormai passato, non solo di moda.
A volte, al sole, le ciocche restituivano un fucsia acceso, come quelle lampade eterne ai lati degli altari in chiese maledettamente moderne.
Era lei stessa una maledizione. Non lo so se fosse mio fratello. Neppure mi sono mai chiesto circa la presenza vaginale.
Era una spia. Una nemica travestita umana. Certe volte, da seduta, allargava le cosce. Dal tessuto dell'indossato comprendevo tutto l'orrore d'avanzata cellulite. In mezzo era gonfia. Imbarazzantemente gonfia.
Disdicevole.
Ha sempre pensato, e lo so, d'essere una figa. E osava anche parlare. Un lamentoso sbavante sospiro continuo di vocali in falsetto, orgasmava pareva. Non c'era da ridere.
Faceva davvero paura, cazzo se lo faceva.
A se stessa.
Ricordo, forse era aprile o inizio maggio, la mia catechista mi portò in una angolo: "Cosa vorrai fare da grande?". ' Vorrei morire.'
Eh no che non si può. Un bimbo poi che così bestemmia la vita santa donatagli. Non si deve.
Ma io da grande volevo seriamente fare il morto.
O la monaca.
Non una semplice monaca.
La badessa cattiva, tipo strega santa, per terrorizzare le vergini.
Oppure se non fossi morto potevo anche scegliere la professione della macchina per cucire.
Solo ed esclusivamente per affermare all'Universo tutto che è "per" e non "da".
Un'Olivetti lettera non so, qualcosa da pigiare con le lettere e i simboli insomma.
Macchina per scrivere.
Per e non da.
Lo diresti "mi sono comprato giustappunto un'automobile da viaggiare in lungo e in largo?"
Sì vero?
Lo sapevo.
Era davvero una spia. Divoratrice di beni e pasti altrui. Ero certo che avesse pure mangiato il pisello al marito, o alla moglie... Ma glielo aveva fatto sparire così, a morsi veloci.
Dicevano fossi un po' anormale.
Se lo bisbigliavano.
Era tutta una farsa. Ero perfettamente consono. Solo che il mio sesto compleanno non era ancora arrivato. Si sa, è scientifico, tutti approfittano dei cuccioli quando hanno cinque anni.
Tutti proprio tutti. Lo fanno anche con le cose tue care.
Se hai un uccellino te lo strozzano, un gatto te lo avvelenano, una bambola te la disarticolano, un futuro te lo pisciano.
Che me ne importava? Tanto io da grande volevo morire.
Ero troppo sensibile e come tutte gli esseri sensibili me ne fregavo degli altri, pensavo solo a me stesso.
Sapevo dalle mie vite passate che gli altri manco mi vedevano, quindi ero sano.
Figurati se avevo la patente!
Si è mai visto un poppante che guida?
Mi portava in giro quel mio fratello, forse sorella, poi parcheggiava al sole, bloccava i finestrini, sbatteva la portiera, chiudeva a chiave e andava.
E' pensabile fosse certo o certa che al suo ritorno mi avesse rinvenuto cadavere.
Cretino, cretina!
Un cadavere da rinvenire?
Alzati Lazzaro e cammina?
Non li ho mai sopportati questi grandi, non mi trovavo bene allora figurati oggi.
Sì ok, sono morto, ma questo significa nulla.
Dovrò in qualche modo svegliare mio fratello. Mia sorella. Il lattaio non è un postino. Non suona proprio. Se non fanno colazione poi si arrabbiano e mi urlano.
Devo svegliare mia sorello. Mio fratella.
Che siano morti anche loro? Lui? Lei? Eppure fino a ieri russava/no. Magari è il destino. Un fato fortuito. Un gioco di Sibilla. Un occhiolino di Sfinge. Devo risolvere il problema.
C'era un grandissimo orologio sparato laser sulla parete di fronte. Anche la parete era smisurata.
Una lancetta segnava le zero, l'altra le sei, una lancia al costato, un Giudizio Finale, era il Tempo del Congedo.
Ma del dolore non ho voglia di parlare adesso.
Era una perfetta spia.
Lucio Galluzzi
C2015CCL