giovedì 19 marzo 2015

STRARIPANTI VIVERI



Quella volta che t'incontrai
tra le tante volte uguali
eri più cadavere del solito
un lieve passare sul Pincio
immaginato lungomare
fino al Muro Torto
non fosse stato per i pattinatori
potevi essere Monumentale
tanto t'esibivi di fottuto silenzio
mancavi pure d'Edera
idiota come sempre
riconoscevi Ficus
ciò che erano magnolie
io mi toglievo dai coglioni
tra le tante volte uguali
colonnati apparecchiati murari
senza tavola e tovaglia
non mangio con esiziali
tra le tante volte uguali
un preciso lancio
un boomerang sono
mi ritorno indietro tra me
in me nelle mie mani.

Lucio Galluzzi
C2015CCL






lunedì 16 marzo 2015

RIPRESA





Trismegisto tre volte verde
in cava smaragdina
le facce unite una all'altra
mi ricordava quell'Arcano
sì, quello dei Led Zeppelin,
chissà poi perché lo fanno?
I versetti sono apparizioni
repentine fulminate
una spadata di luce
alla fronte centrata
netta il Verbo isola Lemmi
un rumore solo unico continuo
battente imperativo bastona
cazzo c'entra ora il terzo occhio?
E' vero sì che qualche volta
t'apre il frontale di notte
sempre tre volte Trismegisto
fisso al Giovanni chino
indecente senza mantello
riposto al masso in sette pieghe
Erano ermetiche lontane
le lavanderine
e i ferri sulla Tabula.
Finisce così
come un pezzo dei Discharge.





Lucio Galluzzi
C2015CCL





giovedì 12 marzo 2015

L'OROLOGIO A PENZOLO - CAPITOLO PRIMO - PARTE SECONDA

"Sai cosa c'è che non va in questa sequenza?", mi disse, leggermente insoddisfatto, Felix, "la miseria della misera non è rappresentata come dovrebbe. C'è un non so che di ancora umano nel disumano sparso, eppure è a pezzi. Che crudeltà feroce concedere ancora espiazione e magari pure un Purgatorio. Sprecare così la certezza del Male ammettendo in scena pure la Luna..."
E' proprio così.
D'un tratto solo, forse anche due, mi ricordai di quel periodo mistico rosa, tra croci e fichi freschi, dei canti lontani e il pungente fumo dei cespi d'origano bruciati per far spazio ai solchi.
Un turibolo espanso fino a Scilla, e anche oltre, la mia Terra.




Un'Arabia di basse bianche moschee e cristi scorticati, conventi e malaffare.
Malaffare specialmente.
Contraria a me quella delatrice.
Sì, esatto, quella con quel pacco di sivo ribollente, rima alla meschina.
Non se ne andava.
Avversa.
Tempesta del focolare senza un solo Angelo soccorritore.
E liolì e liolà questo amore si farà
si farà d'oro e d'argento
d'affondare il bastimento
bastimento poi non c'è
io mi sposo con il Re
Re e Regina al matrimonio
nella Chiesa è un manicomio
Me la cantavo e me la suonavio io la messa, non potevo fare altrimenti.
All'asilo non vedevano di buon occhio un prete.
Immagina una suora.
Per giunta Badessa.
Due Badesse sotto lo stesso tetto possono anche starci, ma come marito e moglie, peccatora e confessora.
D'altro no.
Così ogni sera tornavo dentro senza aver visto neppure uno strazio di tramonto.
Mi serviva come un ventilatore polmonare, ma gli Dei condedono cose a chi non devono, i devoti a chi bestemmiano.
Da mane a sera.
Te lo potevi immaginare tu che il tramonto da noi è di mattina?
Troppo rosso per essere Alba. Troppo chiaro per Aurora, lo sfrigolio e il tanfo di curcuci annunciavano un ben diverso prologo.
Difatti tutti lo sapevano tranne me.
Ai bambini appena svegli u cuntu dell'Arcangelo non glielo fanno mai.
Si spalancò la persiana. Non un alito di vento. Non un colpo di tosse nuvolare.
Paralisi invasiva.
Rumore azzerato.
Frame motion.
Era bellissima Gabriele. Spada enorme. Veste azzurra come il mare di Pellaro.
Bello come non so.
Odorava d'Annunciazione proprio lì sotto.
Curioso ma già sapevo che aveva nulla.
Non hanno sesso. Non ci trovi quella cosa e nepppure l'altro soggetto. Che vengono a fare allora?
Vengono e basta!
Non mi posso distrarre, niente domande, fatemi la Carità.
Si abbassò sul mio viso. Secondo me era alto forse tre o anche quattro metri. Una Giganta.
Mi soffiò in bocca senza lingua. Manco quella hanno.
Me la fece.
L'Annunciazione.
"Sugnu Giovanna, chidda d'Orleans, mischina, abbruciu c'avi centinara d'anni, varda u focu ca' mi cunzuma e m'arruvina. Vinni acca' ndi tìa pì nù fattu capitali. Non sciatari e apri i ricchi bòni: mi mandaru mu tu ricu chiaru e tundu, tu cì comu ammìa, preciso, figghia, sputatu. comu gemelli simu.
Viri ca pì seculi ri seculi tu figghi non ndi po' avìri. Infatti jeu non sugnu Patri. Ci spiai o' Patreternu sì mmi potiva fari Matri e chiddu s'allisciau u biffiu, na puntata nto' culu e fui scafazzata ndi sta mundizza. Ora tu a ffari comu ammìa, chistu è u Destinu, a' Magarìa, u Nfernu tuttu... E siccomu nu figghiu mi manca assai... mi mpreni? Setti simani ti lassu pa' risposta e quannu tornu o i na' manera o i n'autra ti vogghiu!"
21 giorni.
Neppure una ovulazione finita.
Ma io che ne sapevo di queste cose?
Santi, Martiri e Regine.
Inzio così il mio periodo di stipsi petrosa.
Alla Madre Terra non lasciavo nulla.
Si sa quelli troppo sensibili se ne fottono degli altri.
Gli altri si fottono quelli sensibili.
Era la mia nemica.
Davvero.


Lucio Galluzzi
C2015CCL


mercoledì 11 marzo 2015

L'OROLOGIO A PENZOLO, CAPITOLO PRIMO



Ho preso il mio quaderno. Quello di una volta. Il quaderno mai avuto, ma sempre presente sotto le ascelle dello scriba. Mi assentavo sovente dal mestiere. Non lei che senza dirmelo scriveva di me, di notte, sibilando. Che distratto! Sedeva alla stessa nostra tavola. Io che neppure avevo speso una virgola per descriverla. Era da sempre lì. Un culo troppo piccolo per essere gradito anche alla sedia, smisuratamente grande per un pantalone, anche per una gonna.
Lei li metteva tutti e due, ignara del livore procurato ai pochi peni tristi, rattrappiti, in quel corridoio dalle porte sempre chiuse.
Non ho mai capito quanti anni avesse più di me e comunque più di tutti. Era vecchia come il colore dei suoi capelli, tinta rancio unito a struttto ormai passato, non solo di moda.
A volte, al sole, le ciocche restituivano un fucsia acceso, come quelle lampade eterne ai lati degli altari in chiese maledettamente moderne.
Era lei stessa una maledizione. Non lo so se fosse mio fratello. Neppure mi sono mai chiesto circa la presenza vaginale.
Era una spia. Una nemica travestita umana. Certe volte, da seduta, allargava le cosce. Dal tessuto dell'indossato comprendevo tutto l'orrore d'avanzata cellulite. In mezzo era gonfia. Imbarazzantemente gonfia. 
Disdicevole.
Ha sempre pensato, e lo so, d'essere una figa. E osava anche parlare. Un lamentoso sbavante sospiro continuo di vocali in falsetto, orgasmava pareva. Non c'era da ridere.
Faceva davvero paura, cazzo se lo faceva.
A se stessa.
Ricordo, forse era aprile o inizio maggio, la mia catechista mi portò in una angolo: "Cosa vorrai fare da grande?". ' Vorrei morire.'
Eh no che non si può. Un bimbo poi che così bestemmia la vita santa donatagli. Non si deve.
Ma io da grande volevo seriamente fare il morto.
O la monaca.
Non una semplice monaca.
La badessa cattiva, tipo strega santa, per terrorizzare le vergini. 
Oppure se non fossi morto potevo anche scegliere la professione della macchina per cucire.
Solo ed esclusivamente per affermare all'Universo tutto che è "per" e non "da".
Un'Olivetti lettera non so, qualcosa da pigiare con le lettere e i simboli insomma.
Macchina per scrivere.
Per e non da.
Lo diresti "mi sono comprato giustappunto un'automobile da viaggiare in lungo e in largo?"
Sì vero?
Lo sapevo.
Era davvero una spia. Divoratrice di beni  e pasti altrui. Ero certo che avesse pure mangiato il pisello al marito, o alla moglie... Ma glielo aveva fatto sparire così, a morsi veloci.
Dicevano fossi un po' anormale.
Se lo bisbigliavano.
Era tutta una farsa. Ero perfettamente consono. Solo che il mio sesto compleanno non era ancora arrivato. Si sa, è scientifico, tutti approfittano dei cuccioli quando hanno cinque anni.
Tutti proprio tutti. Lo fanno anche con le cose tue care.
Se hai un uccellino te lo strozzano, un gatto te lo avvelenano, una bambola te la disarticolano, un futuro te lo pisciano.
Che me ne importava? Tanto io da grande volevo morire.
Ero troppo sensibile e come tutte gli esseri sensibili me ne fregavo degli altri, pensavo solo a me stesso.
Sapevo dalle mie vite passate che gli altri manco mi vedevano, quindi ero sano.
Figurati se avevo la patente!
Si è mai visto un poppante che guida?
Mi portava in giro quel mio fratello, forse sorella, poi parcheggiava al sole, bloccava i finestrini, sbatteva la portiera, chiudeva a chiave e andava.
E' pensabile fosse certo o certa che al suo ritorno mi avesse rinvenuto cadavere.
Cretino, cretina!
Un cadavere da rinvenire?
Alzati Lazzaro e cammina?
Non li ho mai sopportati questi grandi, non mi trovavo bene allora figurati oggi.
Sì ok, sono morto, ma questo significa nulla.
Dovrò in qualche modo svegliare mio fratello. Mia sorella. Il lattaio non è un postino. Non suona proprio. Se non fanno colazione poi si arrabbiano e mi urlano.
Devo svegliare mia sorello. Mio fratella.
Che siano morti anche loro? Lui? Lei? Eppure fino a ieri russava/no. Magari è il destino. Un fato fortuito. Un gioco di Sibilla. Un occhiolino di Sfinge. Devo risolvere il problema.
C'era un grandissimo orologio sparato laser sulla parete di fronte. Anche la parete era smisurata.
Una lancetta segnava le zero, l'altra le sei, una lancia al costato, un Giudizio Finale, era il Tempo del Congedo.
Ma del dolore non ho voglia di parlare adesso.
Era una perfetta spia.



Lucio Galluzzi
C2015CCL



martedì 3 marzo 2015

ROSSO

Hai mai alzato gli occhi
solo leggermente sopra il coperchio
battendo sul tempo l'inizio del sibilo
alla valvola della tua oppressione?
Un non meglio identificato legume
lesso sciapito stracotto spaccato
senza nerbo e neppure principio di germe
sterile poveretto che continui a sobbollire
tanto che neanche normale cottura s'addice
il cibo dell'anima a un palmo dall'ombelico
l'unica tua cara preziosa amica la mano
la memoria chiazze gialle tenute lì
in ricordo di schizzi troppo passati
irripetibili ormai
ormai irripetibili
invecchiano su stoffe dozzinali
color miseria e poco più nulla
ancora per niente
per niente ancora
Sapessi la pena d'ogni mattina
la badante di Marx aggirarsi
come ladra costretta imposte chiuse
maledire il marito ad ogni spolverata
mentre quello dormiva sonoro
sicuramente dopo aver ancora generato
Rosso.

Lucio Galluzzi
C2015CCL




domenica 1 marzo 2015

DIDEROT A PIETROBURGO


Abbracciami ora
ora abbracciami
non so ancora se adesso
o dopo tra un po' poco
domani si deve andare
chissà con quale mezzo
mi è sconosciuto
perché ci ritroviamo
così come siamo
in questo momento
a Leopoli su letti d'ermellino
falsissimi
come la pelliccia sull'Afrodite
forse non è Leopoli
forse è un manicomio
forse siamo a Mannheim
che strano i vetri veneziani
dimenticati su mobili
d'ebanisti libanesi
e gli odori del profano
profonda parafilia
ci fanno notare il portagioie
bianco come tutti i bagni
qui dentro
sopra c'è scritto "regalo nostro"
di fronte "solleva subito!"
dentro c'è Sacher
sminuzzato
non c'è traccia di composta d'albicocche
neppure cacao
niente zucchero
disaromatizzato
giace tra le polveri
delle sue cedevoli ali
dissociazione e capovolto
il set notturno
fino a che l'uscio di apre
entra avanza Emilienne
la pervertita
coi ragazzi di lato
forse ragazze
chini/e ai guinzagli
ci invita ai padiglioni del bagno
"entrate nell'acqua gelata
entrateci ora"
e di laggiù sentivamo
sottofondo stramodulato
"in sitting the DSCHUNGEL
on NURNBERGER STRASSE
a man LOST in TIME
near KaDeWe
just walking the dead..."

Abbracciami ora
ora abbracciami
dissociazione e capovolto
il set notturno
fino a che l'uscio l'altro
schiude il Mattino
perché mai deve far Alba?

Lucio Galluzzi
C2015CCL